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29/4/2011

ALCUNE RIFLESSIONI SUL TRANSFERT E SUL SUPER-IO

 

In questi ultimi due mesi il gruppo del Focus ha discusso in prevalenza tematiche attinenti ai concetti psicoanalitici di transfert e di Super-io. Pubblichiamo pertanto il testo di due  riunioni in cui il lavoro del gruppo si è particolarmente focalizzato su questi due temi. Per motivi che diventeranno chiari a chi ci legge pubblichiamo anche la traduzione curata dal Dott. Boyer del capitolo 4 della seconda edizione inglese del libro di Joseph Sandler "Il paziente e l'analista" dedicato al concetto di transfert.

 

Allegati:

 

Commenti:

11 - Paolo Coen Pirani

12/09/2011 - 11:0

Devo a una persona, non addetta ai lavori ma appassionata lettrice del nostro Focus, un contributo, che a me pare illuminante, al dibattito in corso. Mi dice: "In fondo non capisco tutto questo scandalo a proposito dell'espressione che hai usato riguardo alla sorte da destinare al 'bambino dentro'. La cosa importante - continua - è avere ben presente che questo benedetto bambino è come quei pupazzi che c'erano una volta nei luna park: gli sparavi e loro cadevano giù se li centravi. Ma non facevi in tempo a deporre il fucile che loro erano già tornati su al loro posto pronti ad essere colpiti un'altra volta". Non è un modo semplice e felice per parlare di sviluppo e di regressione, e ovviamente,...... di farmi le pulci!?

10 - Paolo Coen PIrani

02/09/2011 - 12:25

Rispondo volentieri all’amico Grigioni che sfidando coraggiosamente i bollori dell’estate ha voluto contribuire alla discussione sulla vexata quaestio relativa al trattamento da riservare agli aspetti più infantili della nostra psiche. Penso, come del resto emerge dal contesto della discussione in cui ho usato la contestata “cruenta e erodiana” espressione, di essere stato mosso dalla preoccupazione che nella formula proposta dai Sandler per definire lo scopo della terapia analitica si annidasse un rischio di corrività, di eccessiva tolleranza nei confronti dell’”infantile, del perverso, del ridicolo”, che ho voluto riequilibrare ricorrendo ad un eccesso opposto. Non me ne pento visto che ciò ha stimolato molti a pensarci su. Fra l’altro questo dibattito mi ha sollecitato l’ abbastanza ovvio pensiero che quando parliamo della parte infantile della personalità diamo per scontato di sapere che cosa intendiamo per parte adulta della medesima, il che non mi sembra per nulla assodato e pacifico. Credo anzi che una certa riflessione su questo tema potrebbe essere di stimolo per chiederci che cosa ci proponiamo di ottenere con ciascuno dei nostri pazienti. Torno al testo dell’amico Grigioni che nella seconda parte riecheggia un tema sollevato da Sandler, ormai molti anni or sono, nel suo sempre attuale e densissimo articolo “Riflessioni su alcune relazioni fra concetti psicoanalitici e pratica psicoanalitica” (Int. J. of Psycho-analysis 64:35-45, 1983). Dice ad un certo punto Sandler, e il passo mi sembra molto in sintonia con quanto sostiene Grigioni: “L’analista in formazione porterà con sé nello studio ciò che ha imparato dal suo stesso analista, dai suoi supervisori, dai suoi diversi insegnanti e dalle sue personali letture. Avrà quindi nella sua testa le concezioni teoriche e cliniche che ha messo insieme da queste diverse fonti, concezioni che saranno per lo più quelle ufficiali, standard o pubbliche. Dato come funziona il cervello umano egli continuerà a sottostimare le discrepanze e le incongruenze proprie alle teorie pubbliche e tenderà a muoversi da una parte all’altra della teoria che adotta senza essere consapevole di stare incontrando nel suo cammino un certo numero di punti concettualmente deboli”. “Man mano che cresce la sua esperienza clinica – continua Sandler – l’analista, divenuto più competente, costruirà preconsciamente (quindi descrittivamente in modo inconscio) una intera varietà di segmenti teorici che hanno una attinenza diretta con il suo lavoro clinico. Si tratta di prodotti del pensiero inconscio, di teorie, modelli o schemi molto parziali che hanno il pregio di costituire una sorta di riserva cui è possibile ricorrere in caso di necessità. Che vi siano al loro interno varie contraddizioni non costituisce problema: coesistono felicemente finchè rimangono inconscie. Non appaiono alla coscienza a meno che non siano in consonanza con la teoria pubblica ufficiale e possano essere espresse con parole adeguate. Tali strutture parziali possono di fatto rappresentare teorie migliori (più utili e appropriate) rispetto a quelle ufficiali…….. [esse] organizzano l’esperienza che l’analista fa nell’interazione con il suo paziente”. Sandler conclude il corso di questi pensieri poco dopo dicendo: “Sono convinto che i molti aggiustamenti che l’analista introduce nel proprio lavoro, ivi inclusi i cosiddetti parametri, conducono spesso a o sono espressione di un accordo fra l’intrinseca, privata, preconscia teoria che si sta sviluppando nella mente dell’analista, e il materiale clinico portato dal paziente, accordo che è molto più valido di quello offerto dalle teorie pubbliche ufficiali che l’analista stesso consciamente sottoscrive. Spesso (spero molto spesso) l’analista “privatamente” la sa più lunga”. (pag. 36,37) Pertanto ridimensioniamo pure, come suggerisce l’amico Grigioni, l’importanza delle teorie ufficiali mantenendo però la consapevolezza che le teorie private e parziali, che nascono e si sviluppano in un intreccio dialettico con le prime, persistono e continuano a funzionare. La cosa importante sembrerebbe essere quella di riuscire a raggiungere e a mantenere le condizioni di fiducia e di sicurezza che ci consentono di dire a noi stessi, ai nostri colleghi e ai nostri supervisori quel che veramente succede quando incontriamo i nostri pazienti: se diamo retta a Sandler questo è anche il modo migliore per ottenere accesso alle teorie parziali e private che stiamo via via preconsciamente elaborando nella continua interazione con loro.

09 - Paolo Coen Pirani

02/09/2011 - 12:24

Merita forse ricordare come l’introduzione da parte di K. Eissler nel 1953 del termine tecnico “parametro”, che rendeva legittimo il fatto che l’analista non limitasse strettamente ed esclusivamente i suoi interventi alle interpretazioni, sia stato accolto con grande entusiasmo e, immagino, sollievo da parte della comunità psicoanalitica, specie statunitense. Veniva in questo modo assolto persino il povero Freud che si era permesso di dare da mangiare un pezzo di aringa affumicata al suo paziente e gli aveva espresso stima e simpatia. Come è noto questa “liberalizzazione” era soggetta a numerosi vincoli per cui poteva ad esempio essere introdotta solo se si fosse verificata una impasse nell’analisi (altra assoluzione postuma per Freud che, nell’intento appunto di superare una impasse terapeutica, si era permesso di porre un termine rigido e perentorio alla terapia dell’Uomo dei topi) e per un arco temporale limitato dopo il quale era tassativo ritornare alla tecnica standard. Alla luce delle sopracitate considerazioni di Sandler, il sollievo prodotto dalla comparsa dell’articolo di Eissler diventa perfettamente comprensibile. Mi sembra interessante paragonare tutto ciò con il diverso sviluppo che si è verificato parallelamente nella psicoanalisi di estrazione britannica. A partire infatti dal decisivo contributo di Paula Heimann che nel 1959 (si noti: tre anni prima dell’articolo di Eissler) sostenne per la prima volta l’utilità della risposta controtransferale per la comprensione del materiale clinico del paziente è possibile individuare nel pensiero psicoanalitico un percorso evolutivo che passando attraverso l’elaborazione del concetto kleiniano di identificazione proiettiva e il progressivo riconoscimento dell’esistenza nella coppia analitica di una vera e propria relazione d’oggetto (Balint, Fairbairn, Winnicott) approda all’idea sandleriana della rispondenza liberamente fluttuante del terapeuta al ruolo che il paziente cerca di imporgli. Si tratta evidentemente di un concetto molto più squisitamente analitico per l’inquadramento dei comportamenti non kosher, descrittivamente inappropriati, rispetto ai dettami della tecnica standard, se paragonato a quello rigido, prescrittivo e sostanzialmente comportamentistico di “parametro”.

08 - Carlo Grigioni

17/08/2011 - 11:54

Teoria e Clinica Tutto il dibattito che è seguito alla questione se sparare un colpo in testa al bambino dentro, oppure no, ha ottenuto il risultato di tranquillizzare le varie parti: ” no, non dobbiamo eliminare tutto quello che si è depositato nel corso dello sviluppo, sarebbe assurdo, dobbiamo solo mettere a tacere con la necessaria fermezza quei modi di fare provenienti dal mondo infantile che ostacolano lo sviluppo della vita adulta.” Qui sorge la mia domanda. Perché per esprimere delle idee che alla fine sono state così condivisibili e pertanto adatte ad essere espresse in modo pacato, si è dovuto ricorrere a un’espressione che pacata non era? È una domanda che sin dall’inizio di questa questione mi sono posto. Come mai è scaturita in quell’occasione un’espressione così forte, così “erodiana”? Non ho la risposta, ovviamente; non ero presente, non conosco gli stati d’animo circolanti in quel momento. Tuttavia quest’argomento mi suggerisce delle riflessioni che riguardano il rapporto fra Teoria e Clinica. Un rapporto veramente difficile, in special modo per noi di via Ariosto. La teoria, sia che la facciamo sia che la studiamo ci rassicura, ci permette di sapere dove ci stiamo muovendo quando pensiamo ad uno dei nostri pazienti, ci gratifica. La stessa è però un ostacolo potente quando siamo con il paziente. In questi momenti dobbiamo cercare di essere in contatto con ciò che effettivamente succede nella mente del paziente e nella nostra e trovare quelle espressioni, verbali e non, che più spiegano al paziente ciò che gli sta succedendo. Se in questo momento dimentichiamo che le nostre definizioni teoriche sono delle concezioni e le facciamo diventare concetti la nostra mente si riempie di Narcisismo, di Super Io, di Bambino Dentro, ecc. creando una frattura alla comprensione del paziente e alla nostra. In questo senso appare giustificato sparare un colpo in testa non solo al Bambino Dentro, ma anche al Super Io, al Narcisismo, ecc. Se non esistessero questi concetti noi saremmo più liberi nel qui ed ora della seduta di risuonare con il paziente e di trovare l’espressione più adeguata per spiegare il suo dolore. Penso che fra le varie cause che possono avere suscitato quell’espressione che ha così scandalizzato sia da annoverare anche questa. Il teorico e lo studioso sanno che nel momento in cui studiano modelli, schemi di riferimento, definizioni fanno del male al clinico, d’altro lato il clinico, quando pensa al rapporto con il suo paziente trae conforto se verifica che il suo lavoro rientra in uno schema e si rassicura. La complicazione viene dal fatto che teorico e clinico sono nella stessa persona. Da questo inevitabile conflitto è comprensibile che possa scaturire qualche cruenta espressione. L’affermazione contenuta nel penultimo intervento del Dott. Coen mi sembra che si accomodi bene in quello che sono andato a dire: “Riflettendo su questi contributi e sulla mia particolare presa di posizione mi sono alla fine chiesto se, più che sparare al bambino dentro, non si otterrebbe una maggior chiarezza “facendo fuori” la metafora del “bambino dentro” in quanto fuorviante, a favore di termini meno confusivi e anche meno evocatori di reazioni di natura emotiva e sentimentale.” “Hai imparato la teoria? Bene, ora dimenticala.” Questo lo dobbiamo fare di continuo. Agosto 2011 Carlo Grigioni

07 - Paolo Coen Pirani

19/07/2011 - 9:39

Ringrazio la dott.ssa Consolini per il suo intervento con le cui conclusioni sostanzialmente concordo. Colgo l'occasione per ribadire l'importanza di quanto è già stato messo in evidenza nei contributi del gruppo di psicoterapia dell'età evolutiva del mercoledì: il fatto cioè che il bambino è un solutore di problemi e che le sue soluzioni costituiscono scelte di vita che possono funzionare con gli opportuni accorgimenti anche egregiamente per tutta l'esistenza in virtù dello stabilirsi e del persistere di un buon "incastro" fra mondo interno e mondo esterno. Possono invece diventare nel tempo fonte di sofferenza e richiedere pertanto un lavoro di consapevolizzazione, di eventuale possibile revisione e di disinvestimento. Questo è il nostro pane quotidiano professionale. Buone vacanze a tutti!

06 - Laura Consolini

11/07/2011 - 22:46

Il tema del "bambino dentro" credo possa rappresentare per molti di coloro che hanno incrociato le loro strade con il Centro Studi un tema molto sentito. Mi sono chiesta quale contributo potevo dare alla discussione e mi e' venuto di scandagliare la teoria implicita che mi sembra sottesa al mio operare come psicoterapeuta e come psicologa clinica che lavora con i bambini, gli adolescenti, i genitori e per la tutela dei minori (affidi ed adozioni) all' interno di un Servizio pubblico. Sono propensa a ritenere che il nucleo di base del "bambino dentro" non sia poi così diverso nel genere umano in quanto i bisogni di fondo...sicurezza..conforto..autostima...intimità ...calore umano...affermazione...potenza si possono ritenere ubiquitari, ma si declinerebbero modo diverso per le diverse combinazioni di contesti familiari, dimensioni trigenerazionali, ordine di genitura, rappresentazioni ed investimenti differenti, eventi incidenti sulla storia personale... Ecco che l' adattamento che ne scaturisce, perlomeno nella visione che sento permeare la mia prassi professionale, può essere armonico ed egosintonico, quanto può essere inibitorio, penalizzante, distruttivo e/o egodistonico.. Le varie formazioni di compromesso tra "il bambino dentro" e le difese contro l' espressione diretta dei bisogni sottesi - paradigmatiche di quel contesto singolare- darebbero adito alla diversa fenomenologia che noi incontriamo nella nostra prassi professionale ed umana in senso lato. Da questo scaturisce quel "quid" a cui si accennava a proposito della particolare risonanza che certi pazienti possono destare nel terapeuta, indipendentemente dalle induzioni di ruolo, dagli scotomi idiosincratici e così via.. A proposito del "bambino dentro" che il bravo terapeuta ha preconsciamente intuito e con cui ha umanamente dialettizzato , come fruitrice del Centro Studi ritengo si tratti di aiutare il paziente a conoscerlo, a non averne paura o vergogna -all'interno della relazione terapeutica- e a lasciarlo esprimere in modo congruente all'eta' ed alla vita che conduce, favorendo, con questo , adattamenti migliori e dunque più creativi e propulsivi. Non si tratta di inseguire un' utopica poetica del Fanciullino..ma di aiutare le persone ad essere più integre e realizzate, nel senso della possibilità di dare espressione agli aspetti più vitali ed autentici del Se'. Nella mia teoria implicita vi sarebbe l' idea che la relazione terapeutica sciolga come neve al sole la necessita' talora rigida o compulsiva alla difesa disfunzionale e restituisca al paziente un miglior accesso al " bambino dentro"...che, in quest'ottica, non vi e' piu' necessita di "far fuori".

05 - paolo coen pirani

06/07/2011 - 9:18

Dopo la pubblicazione sul Focus del Centro del mio ultimo contributo mi è stata fatta, a voce, qualche domanda circa le mie osservazioni relative alla questione se si debba considerare la teoria psicoanalitica come una psicologia generale o non piuttosto come una teoria clinica orientata nel senso della psicopatologia e della tecnica. Questo stimolo mi ha suscitato qualche riflessione che vi allego

04 - Paolo Coen Pirani

23/06/2011 - 11:2

Ho pensato che potesse essere utile che io rispondessi alle varie osservazioni e critiche che mi sono state fatte relative alla mia uscita sul "bambino dentro". Pertanto se la cosa vi interessa vi invito a leggere il 5° allegato. Grazie e buona lettura

03 - Paolo Coen Pirani

07/06/2011 - 11:14

Essendo io il colpevole di avere consigliato di prendere a pistolettate il "bambino dentro" mi sento di consigliarvi di andare a leggere i commenti del gruppo di psicoterapia infantile contenuti nel 4° allegato.

02 - Milton Monteverde

19/05/2011 - 15:28

Rispondo al commento della Sig.ra Elena Vivarelli ringraziandoLa per il Suo puntuale e dotto intervento. I problemi sollevati dalla signora ci sembrano interessanti e stimolanti per il nostro pensiero. Le risposte le stiamo elaborando e verranno rese note appena pronte. Posso anticipare che l'argomento ci interessa a tal punto che intorno ad esso pensiamo di organizzare il nostro prossimo convegno di Ottobre.

01 - Elena Vivarelli

11/05/2011 - 16:16

Dal mio punto di vista di "non-addetta-ai-lavori" penso che l'importante sia rafforzare l'Io adulto in modo da metterlo in grado di mediare fra le esigenze del "bambino dentro", che pure è creativo, ma anche distruttivo, e quelle del "genitore", che pure è punitivo, ma anche protettivo e confortante. Vedo l'Io come entità adulta in equilibrio (precario) fra le altre due istanze, che ne dovrebbe gestire autonomamente le pretese e non esserne gestito. Tuttavia credo che questo equilibrio non sia raggiunto una volta per tutte. E' invece un processo dinamico, provvisorio e bisognoso di "manutenzione", che va messo a punto giorno per giorno con un costante lavoro. Penso che ciò emerga nel testo dal caso dell'improvviso sbilanciamento del Dr. Monteverde verso un Super-Io "immortale" (forse incarnato dal Dr. Coen in "rappresentanza" di Freud stesso), come anche dall'espressione un po' forte del Dr. Coen che, nell'intento di mettere a tacere una volta per tutte il "bambino dentro", sembra a sua volta esprimere proprio quella violenza tipica del linguaggio dei bambini.La conoscenza di se stessi e la consapevolezza di quanto avviene dentro di sé sono gli strumenti che servono a ripristinare questo equilibrio ogni volta che viene meno.

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